lunedì 4 ottobre 2010

Il tempo delle carote


Immaginiamo di poter eseguire un test con un gruppo di persone. Assegniamo loro una serie di compiti che richiedono attenzione, concentrazione e creatività. Poi dividiamo il gruppo in tre e al primo gruppo promettiamo, nel caso in cui la performance sia ottima, un premio in denaro pari ad una giornata di lavoro, al secondo gruppo un bonus pari a due settimane di lavoro e all’ultimo gruppo un premio pari a 5 mesi di lavoro. Chi avrà la miglior performance secondo voi?


La risposta scioccante (si perché questi studi sono stati fatti davvero*) è che il gruppo a cui era stato promesso il bonus più alto è stato quello che ha avuto la performance peggiore. Per sgombrare il campo da dubbi ed eventuali polemiche legate allo stato di “bisogno” più o meno marcato dei gruppi, l’esperimento è stato ripetuto sia negli Stati Uniti che in India. Con identici risultati.

Secondo lo studio quindi la famosa strategia della carota (e del bastone) non avrebbe alcuna validità. Il che dovrebbe essere relativamente sorprendente: non per forza quello che muove un mulo muove anche gli esseri umani innanzitutto. E poi tutti abbiamo letto sui giornali di grandi manager italiani con bonus multimilionari capaci di potare sistematicamente disastri nelle aziende in cui lavoravano.

Qual è quindi il meccanismo? Gli incentivi economici sono facilmente una spada a doppio taglio. Da una parte motivano le persone a “darsi da fare”…ma allo stesso tempo possono danneggiare le performance perché sono fonte di stress ed ansia da prestazione. Questo a meno che non si tratti di lavori semplici e ripetitivi, facilmente manuali, in cui il concetto della “carota” motivazionale è ancora assolutamente valido.

Insomma, gli studi parlano chiaro. I premi ed il denaro non hanno effetto sulla performance. Eppure sono certo che fermando a caso un campione qualsiasi di persone in una città italiane si avrebbero risposte molto diverse (e spiegando la teoria magari anche qualche insulto). Ed è normale credo. Insomma il denaro è importante e gli studi in realtà continuano a confermarlo sostenendo che paradossalmente per eliminare il problema denaro basterebbe semplicemente pagare le persone abbastanza da evitare che il tema guadagno sia una preoccupazione quotidiana. E fin qui... Una volta però raggiunto quel livello di “serenità” offrire ulteriori premi in denaro per ottenere prestazioni superiori non avrebbe alcun senso. Quello che serve invece è molto meno “terreno”; si tratta anzi di tre fattori che, all’interno di un organizzazione, dovrebbero essere facilmente reperibili, o almeno più reperibili di un superbonus extra. Parliamo di:

-Autonomia (il desiderio di dirigere la nostra vita ed il nostro lavoro)

-Maestria (la voglia di migliorare costantemente in quello che facciamo, di essere bravi e soddisfatti di questo)

-Senso (la consapevolezza che il nostro lavoro è legato ad un motivo o senso, appunto, più alto rispetto al semplice fare soldi)

Eppure quanti manager, nel gestire la motivazione dei collaboratori, sono in grado di investigare e gestire una comunicazione su questi tre temi? E quindi di muoversi concretamente per fare qualcosa? Forse se la carota è stata per così tanto tempo l’unico elemento su cui tutti puntavano è perché non si avevano altre risorse a disposizione? E soprattutto come potrebbe funzionare un mondo in cui, liberi dal “bisogno” di guadagnare, potessimo tutti esprimere il meglio di noi stessi?

Utopie? Probabilmente, ma consiglio la visione di questo filmato particolarissimo e bellissimo in cui tutta la teoria discussa sopra è spiegata egregiamente con anche alcuni esempi concreti.

http://www.youtube.com/watch?v=u6XAPnuFjJc


*Studi condotti da Dan Ariely, Uri Gneezy , George Lowenstein, Nina Mazar